Ensi: un Mc sul palco

Un microfono, un dj con un break, un palco e le V al cielo: questo è l’immaginario di quello che é successo ieri al concerto di Ensi al Gate di Milano. Lui è l’unico vero Mc italiano, è l’incarnazione del rap, fatto non solo di tecnica e bravura, ma anche e sopratutto di cultura. Quella cultura hip hop di cui sentiamo tanto parlare, ma che sembra essersi persa e che nessuno sembra riuscire più a rappresentare, ecco Ensi é l’hip hop. Lo vedi, lo respiri quando sei di fianco a lui, quando hai l’opportunità di parlare con lui e quando lo vedi su un palco, quando c’è Ensi, c’è il rap e c’è l’hip hop. V é stata la sfida più dura di Ensi, più delle gare di freestyle, ha scelto di non snaturarsi, di mantenere la sua attitudine, di non assecondare i gusti e le tendenze di oggi ed è stato ripagato. La musica, il rap l’ha preso ancora una volta per mano e gli ha detto “tu hai bisogno di dire queste cose e devi dirle così”. E così é stato. C’è tutta la cultura hip hop in Ensi, così come c’è in V, nei suoi dischi precedenti, nel freestyle e ogni volta che lui è su un palco. Questo è il risultato più grande, più degli streaming, delle visualizzazioni, dei vari dischi d’oro e di platino: Ensi mantiene fede a se stesso e a quel rap che oggi sembra essersi perso in favore di musica diciamo crossover, e lo porta in alto ancora una volta. E ancora una volta ha vinto tutto.

Avevo avuto modo di parlare con Ensi di V a luglio, prima che uscisse il disco, l’intervista non è mai stata pubblicata, vi propongo uno stralcio, perchè secondo me è fondamentale.

Secondo me il tuo disco è quello che mancava adesso. In tutto quello che c’è adesso, mancava un disco fatto così, parlato e raccontato in questo modo e comunque rappato come sai fare tu. Senza canzonette, passami il termine

“Ti ringrazio e spero che altri la pensino come te. In “Mezcal” dico proprio questo, però, sai, non conta la motivazione, conta il giudizio. Alla fine, tutto quello che abbiamo detto è fighissimo, in una favoletta, mancava questo, anche io ogni tanto mi guardo allo specchio e mi dico, sì, mancava questo, però poi devi fare i conti con la realtà, quindi è importante essere concreti e vedere le cose come vanno. Là fuori non è facile e io sono pronto a tutto, c’è un grosso cambiamento, il grosso dei risultati spesso lo fanno quelli che hanno magari un pubblico di teeager molto affezionati, perché spesso sono i brand a dare molta credibilità, perché portano numeri e tutto quello che porta numeri, porta credibilità.

Nel pezzo con Luchè dico “per voi questa è arte solo perché c’è chi la segue”, è una frase forte da dire. Io mi ricordo che quando rappavamo, eravamo quelli che facevano yo yo, oggi è tu fai il rap, che figata. Lo vedono come una cosa figa, non ne sanno niente, non capiscono nulla, potremmo analizzare le figure retoriche delle mie canzoni e non saprebbero da che parte girarsi, però noi vediamo la cosa da dentro, quelli la vedono da fuori e spesso per tutti la musica non è così importante come lo è per noi, per molti la musica è intrattenimento. Questo è il mondo in cui viviamo, non si vendono libri, la gente non legge, il sistema scolastico è una merda, i ragazzi vanno a scuola e perdono tempo, quando vanno non imparano niente, non si sentono attratti da una classe politica che vedono distante da loro che non riesce a parlargli, è un momento veramente fragile, quindi non possiamo pensare che una roba così delicata, così combattuta, così molto soggetta a una visione soggettiva come l’hip-hop, possa avere un dogma universale dove per tutti dovrebbe essere così. Io posso solo fare una previsione e dire io la vedo così. Mi ricordo quando avevo fatto Rock Steady che era uscito il primo singolo di Eminem “Berzerk” dove diceva “questa è l’origine dell’hip-hop un microfono e uno scratch” e io in Rock Steady dicevo quello nella title track e ho detto ho vinto, ho fatto goal, lo sapevo, ma il mercato non era così, quanto meno in Italia, ho venduto delle signore copie, però uno come me per avere ragione in tutto quello che dice, il prossimo anno deve appendere un disco d’oro sul muro e allora sì. Ed è quello che mi auguro e che lotterò per fare, perché fino ad allora conta il giudizio e tu puoi essere il più bravo del mondo, ma se fai 100 visualizzazioni e non ti conosce nessuno, là rimani. Puoi avere l’idea più figa del mondo, ma poi devi incastrare le cose, quindi è facile criticare quelli che hanno visibilità, prova ad avercela tu visibilità, non è semplice. Io ho cercato sempre di non buttare via quello che ho fatto fino a ieri, di guardarmi allo specchio e essere felice, però al contempo di farci dei soldi e di spaccare il culo perché è questo che bisogna fare. E chi tiene lontano questo discorso dall’hip-hop, non conosce l’hip-hop, perché l’hip-hop arriva da questa esigenza, di parlare delle mie cose, venirne fuori e affermarmi per fare in modo che gli altri si affermino come me, per fare in modo di dare agli altri qualche cosa in cui credere e avere qualcuno da seguire e dire “cazzo quello era del mio quartiere e rubavamo le biciclette e adesso riempie gli stadi. Quello è importante, non è solo tutto sto discorso figo che abbiamo fatto, perché poi contano i numeri.

C’è una visione del disco, che secondo me è fondamentale, un po’ di scontentezza del mondo, però è una visione non con le braccia lungo le gambe della serie non posso fare un cazzo, va tutto male, ma è molto critica perché l’ho vista io questa criticità, la vedo tutti i giorni. Io conosco un sacco di persone di talento che non riescono a fare del loro talento la loro professione, perché non è per tutti uguali Conosco anche tanti artisti molto bravi, produttori, fotografi, beatmaker, mc molto validi, con delle belle canzoni e un bell’immaginario ma non vanno da nessuna parte, non li chiamano a suonare e questo è anche perché, se è vero che da un lato tu devi portare a casa tua l’acqua, devi fare in modo che il tuo mulino giri e devi fare in modo che qualcuno voglia venire a vedere il tuo mulino che gira, però dall’altra bisognerebbe anche magari cercare di dare uno spazio uniforme a tutto e non solo a quello che funziona, perché sono tutti bravi a frustare i cavalli che corrono e sono tutti bravi a raccogliere le mele mature, però bisogna piantare i semi, far crescere le piante e dargli l’acqua tutti i giorni”.

Sarà perché viene dal freestyle, sarà per la sua immagine, per le sue rime, per i suoi testi, per il suo modo di vivere e interpretare il rap, Ensi resta uno dei pochi veri rappresentanti di questo genere musicale nel nostro paese e un forte esponente della cultura hip-hop in Italia. Quando vedo Ensi, quando ascolto un suo pezzo, quando mi soffermo a capirne il testo, quando lo vedo su un palco, io vedo il rap, quello vero, quello puro.

Questa musica è nata parlando alle persone ti rende parte di qualcosa che ha un identità e senza distinzione di ceto sociale, di razza o colore è la voce di chi non ne ha e se non passa di moda è perché non è una moda, si rinnova a quarant’anni e siamo sempre in voga, due parole di tre lettere non è uno slogan, è un fenomeno che ha condizionato la storia”. Queste sono le parole di Ensi in Rock Steady, sono passati tre anni da allora, ma quello disegnato da lui è il miglior concetto di rap, quello più veritiero, che abbia mai letto. Anche in “Tutto il mondo è quartiere”, come in tutti i suoi testi e in tutti i brani contenuti in V, Ensi parla alle persone di situazioni reali, nelle quali tutti posso identificarsi, o che comunque hanno visto o vissuto almeno una volta nella propria vita. E’ questa la vera essenza del rap, è per questo che il rap è nato, per parlare alle persone, non per la versione deluxe, per itunes, ma per chi si siede ancora sul fondo del bus o per chi, come lui, oggi ha 30 anni e vive le sue stesse esperienze.

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