2014: è vero che i Club Dogo non erano più quelli di Mi Fist?

Il 9 settembre 2014 usciva Non Siamo Più Quelli Di Mi Fist, il settimo e ultimo disco dei Club Dogo.

Già il titolo è schiaffo in faccia a tutti. Per anni Jake La Furia, Don Joe e Guè si sono sentiti dire “eh ma non siete più quelli di Mi Fist”. Tanto che a un certo punto pure Jake si rompe e in Voi non siete come noi dice “Non siamo più quelli di Mi Fist, quindi?, cazzo vuoi?!»

D’altra parte era il periodo in cui i cosiddetti puristi del rap, e non solo, li criticavano a manetta. Fiumi di commenti del tipo “ma questo non è rap”; “voi non capite un cazzo di rap, ascoltate tizio che quello veramente spacca”; “io che ascolto rap dall’anno zero dei tempi delle Posse”; io amo il rap underground mica questa roba commerciale”. “I Dogo sono commerciali”. “I Dogo hanno portato i tamarri nel rap”. “I Dogo non sono più quelli di Mi Fist”. E sai che ti dico? Meno male! Per carità, Mi Fist disco sacro, ha fatto la storia del rap italiano e resterà sempre una pietra miliare, spacca, nulla da dire, ma suonava già vecchio nel 2015 per metriche, rime, suoni, contenuti, modo di rappare, quindi per fortuna che i Club Dogo non erano più quelli di Mi Fist. Ma gliel’hanno menata talmente tanto, che a un certo punto lo hanno gridato a gran voce, lo hanno messo lì, a caratteri cubitali, sul titolo del loro ultimo disco: NON SIAMO PIÙ QUELLI DI MI FIST. E che non sono più quelli di Mi Fist è chiaro, non solo nel titolo, ma anche nei contenuti e nei suoni del disco.

Il titolo è un gioco, come i titoli dei nostri dischi precedenti. Siccome da una certa frangia di rompicoglioni ci viene sempre detto ‘Non siete più quelli di Mi Fist’, ci siamo detti che la libidine più grande era prendere per il culo quelli che ci prendevano per il culo, quindi abbiamo deciso di utilizzarlo come titolo dell’album”. Lo hanno detto i Club Dogo durante il primo instore che si è tenuto a Milano quando è uscito il disco.

Che poi non è neanche vero che non sono più quelli di Mi Fist, da una parte sì, certo, sono cambiati, sono cresciuti, è cambiato il contesto, la cifra stilistica, il pubblico, ma la loro attitudine è sempre rimasta quella. L’approccio, le rime, la ricercatezza nei suoni, la tamarraggine, l’essere “ignoranti” è rimasto il filo conduttore della loro discografia. Dal 2003 al 2014 Jake La Furia, Don Joe e Guè hanno cambiato radicalmente il modo di fare rap, tanto che oggi si può tranquillamente dire che, molti degli artisti del momento sono tutti figli loro. Rapper e producer. In 11 anni, com’è normale che sia, sono andati in giro, han fatto cose, visto gente, sperimentato, creato. Di certo non sono rimasti chiusi in un garage a suonarsela e cantarsela da soli, dicendosi che dovevano preservare la purezza del rap e di quanto fosse figo non vendere dischi. Chi davvero lo farebbe? Dai siamo seri, forse solo chi ci prova ma non riesce, la solita volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba. Loro, al contrario, hanno fatto, hanno portato il rap a un altro livello, sono la storia del rap italiano e lo saranno sempre, anche se per una fetta di sfigati non sono più quelli di Mi Fist.

«Noi le tamarrate le abbiamo fatte tutte, non possiamo più avere paura che ci dicano niente: pezzi dance, partecipazioni ai reality, collaborazioni improbabili. Tutto. E comunque con le collaborazioni con Biagio Antonacci ed Eros Ramazzotti siamo stati dei pionieri. Ancora una volta». Dicevano i Dogo a pochi giorni dall’uscita di Non Siamo Più Quelli di Mi Fist.

Il disco? Inutile dirlo, è una figata. Un discone. Forse, lì per lì, al primo ascolto, ti fa dire non sono più quelli di Mi Fist, ma in senso buono. Sono la sintesi e l’ennesima potenza di tutta la loro discografia. Il disco ha un altissimo livello di stile e di suono. Gli argomenti potrebbero sembrare sempre gli stessi: donne, soldi, lifestyle, tamarraggine, successo. Ma dietro c’è molto molto di più.

Zero ascensore, ma trenta piani a piedi per il successo”. Ed è così. È andata proprio così. E pensa che quel successo lo hanno ancora oggi. Pensa, a 9 anni da questo disco, sono riusciti a incanalare 10 sold out al Forum di Assago. Quindi, avevano ragione loro o chi gli puntava il dito “eh, ma non siete più quelli di Mi Fist, gne gne gne”?

Tra un bella zio e l’altro, in Non Siamo Più Quelli di Mi Fist ci sono rime che raccontano quanto loro abbiano lavorato duramente per arrivare dove sono adesso, ci sono rime e immagini che descrivono Milano e l’Italia in modo perfetto, ti fanno capire che arrivano dall’underground, che conoscono quella roba là, ma riescono sempre ad essere attuali e avanti e la cosa figa è che lo fanno riuscendo sempre a intrattenere l’ascoltatore, senza mai risultare pesanti. C’è Guè, con la sua sofisticata ignoranza, che poi ti cita Seneca, ci sono le rime grezze e dirette di Jake. Ci sono i loro stili diversi, ma che per un decennio si sono sempre completati a vicenda, proprio come le famose due facce della stessa medaglia.

Come ogni disco rap che si rispetti, non mancano i campionamenti. In Sayonara ci sono delle schitarrate rock di Lele Spedicato dei Negramaro, in Start it over una base reggae, e poi un campionamento di Un cuore con le ali di Ramazzotti in Weekend, uno di Overdose (d’amore) di Zucchero in Sai zio, la voce di Arisa in Fragili e persino un pezzo di Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto. Ci sono Betty Curtis e Jefferson Airplane.

Perchè del resto i Dogo sono sempre stati così: hanno sempre fatto il cazzo che volevano e lo hanno sempre fatto bene.

E nonostante le critiche, Non Siamo Più Quelli di Mi Fist, resta la degna conclusione dei Club Dogo. Peccato che, ascoltandolo nel 2014, non avevamo capito che quel «appoggia alla tempia, di’ “addio!” e dopo spara. Au revoir, arriverci, ciao ciao, sayonara» suonava davvero come un addio.

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